Conseguenze inattese
Notizie che ci fanno pensare.
Jose’ Saramago ne Le intermittenze della morte (2005) descrive le conseguenze di una Morte periodicamente in “sciopero”. Ce ne sono di belle, e non tutte concernenti la sorte dei becchini.
Notizie che ci fanno pensare.
Jose’ Saramago ne Le intermittenze della morte (2005) descrive le conseguenze di una Morte periodicamente in “sciopero”. Ce ne sono di belle, e non tutte concernenti la sorte dei becchini.
Il non farlo è molto più costoso dell’alternativa, e non solo per noi stessi.
Lo so; è una vecchia storia e ne ho anche già parlato più volte. Ma nel mio campo è un soggetto molto importante, delicato e in un certo senso affascinante.
Un’idea pratica per organizzare le proprie finanze.
Nel 1979, alla fine del mio MBA, un professore ci disse “La prima cosa da fare appena uscite da qui è mettere da parte almeno 3 anni di spese per vivere: così nessuno potrà mai forzarvi a restare in un posto di lavoro che non vi piace.” Parole sacrosante che io, confesso, ho messo in pratica solo trent’anni dopo.
Questioni a monte del semplice “come fare.”
Il cliché che, parafrasando, dice “il non far nulla è pur sempre far qualcosa” non riceve l’attenzione che meriterebbe. Insidioso come l’apparente semplicità del quadro in copertina (“Arte? Ma questo l’avrebbe potuto fare mio figlio di tre anni!” sentii dire di un’opera simile in una galleria d’arte anni fa), il detto ci suggerisce di non confondere l’inazione per default con la conscia e ragionata decisione di lasciare le cose come stanno: la prima vale al massimo quanto un testa-e-croce mentre la seconda potrebbe significare la differenza tra successo e mediocrità.
Versione italiana del mio post di lunedì, in collaborazione con la redazione de ilpost.it.
Durante un talk show trasmesso regolarmente da un’emittente radiofonica svizzera del Canton Ticino, il conduttore invita gli ascoltatori che telefonano al programma a raccontare in quale epoca storica avrebbero voluto vivere.
Pensando a Brexit e all’Europa Unita.
Mentre il fracasso su Brexit continua imperturbato, mi rendo conto che stiamo guardando alla questione dal lato sbagliato. Le ultime due crisi dell’Unione Europea – di natura finanziaria nel 2010-2011 e umanitaria oggi – hanno avuto lo stesso effetto: quando gli eventi impattano direttamente ed in modo differente i cittadini l’armonia si spappola.
Se i media facessero capir meglio certe cose e smettessero di far sognare ci farebbe bene alla salute.
Sono stufo di vedere o ascoltare i media rigurgitare statistiche senza aiutare a capire o ad imparare nulla. Quante volte si parla d’investimenti “giusti” in certi periodi, di quello che bisogna fare per “proteggere” i propri soldi oggi, di come certe società hanno reso bene e in quanto tempo. Tutta roba pensata con una metodologia: cercare il risultato ex post che correli con le circostanze ex ante senza lo sforzo analitico di capire se e perché i due abbiano una relazione fondamentale.
Volatilità di mercato e volatilità di cash flow: due cose completamente diverse.
Nel 1989 Robert Shiller, premio Nobel per le scienze economiche nel 2013, pubblicò un libro “Market Volatility” (una delle salve contro l’allora inespugnabile castello della teoria dell’efficienza dei mercati) che fece scalpore. Un decennio e mezzo più tardi la tesi fondamentale di Shiller chiarì le mie idee riguardo a una grossa mancanza nel reporting odierno sui portafogli degli investitori.
Rita Pavone e il senso degli affari.
Mi ricordo quand’ero piccolo che questa canzone di Rita Pavone m’inspirava dubbi. “Perché,” chiedevo a chiunque fosse a tiro d’orecchio “si lamenta tanto di essere lasciata sola la domenica? Non può andare anche lei alla partita?” “Perché se ci andasse” qualcuno un giorno rispose “non potrebbe cantare la canzone.” Fu’ la mia prima lezione di economia.
A cosa serve battere il mercato? Riflettere sui nostri obiettivi e le nostre necessità ci eviterebbe un mare di errori e di costi.
Pochi di noi, immagino, si accontenterebbero di acquistare una macchina e alla consegna riceverne la metà. Eppure questo pare sia proprio quello che succede regolarmente nell’investire i propri soldi: da vari studi fatti in America si evince che l’investitore privato medio guadagna circa il 50% di quanto il mercato azionario abbia generato nel lungo periodo.